venerdì 8 marzo 2013

Stallo e democrazia


Partiamo da una semplice considerazione. 
L’attuale legge elettorale è pessima per moltissimi e noti buoni motivi. 
Nella fase attuale ha tuttavia dimostrato di avere un pregio, ovvero rendere impossibile ad una delle tre minoranze che abitano il paese di ottenere in Parlamento una maggioranza autosufficiente, pur garantendo alla più robusta fra queste il diritto di esprimere un indirizzo nella formazione del governo.
Se fossimo non un paese normale, ma un paese dotato di una classe politica cosciente di se e delle proprie responsabilità, questa non dovrebbe quindi far altro che prendere atto che il popolo italiano ha cancellato nelle urne il bipolarismo e imposto le condizioni per un programma di origine parlamentare, disegnando non una, ma ben due ipotesi di possibile coalizione.
Cosa ben diversa dall’esito delle prime elezioni greche, quando Syriza si ritrovò priva dei numeri sufficienti, così come le formazioni che insieme compongono l’attuale maggioranza di governo, e lo sbocco elettorale fu quindi obbligato.
Ciò di cui si parla è invece il ritorno alle urne, nella speranza che gli italiani tradiscano fra pochi mesi la volontà che hanno voluto esprimere in febbraio, cambiando in massa la propria preferenza di voto.
Perchè tutti sappiamo che se questo non accadesse il futuro Parlamento sarebbe sostanzialmente nelle stesse condizioni di questo, con l’unica credibile variante di un diverso orientamento della Camera dei Deputati.
Nè a tagliare il nodo gordiano basterebbe la modifica della legge elettorale, dato che non esiste legge elettorale dignitosa al mondo che garantisca la governabilità in un paese diviso in tre tronconi sostanzialmente omogenei per forza e diffusione territoriale.
Il problema quindi è e resta esclusivamente politico e riguarda la capacità delle forze rappresentate nelle due Camere di interpretare se stesse alla luce della nostra Costituzione, che prevede il voto di fiducia come tutela fondamentale della forma di governo parlamentare, a cui io, personalmente, non rinuncerei mai.
E’ quindi opportuno avere ben chiaro che proprio la centralità del Parlamento, che ha retto fra mille difficoltà al ventennio berlusconiano e alle forzature di una prassi insistentemente orientata alla prevalenza dell’esecutivo, rischia di essere la vera vittima dello stallo attuale, aprendo le strade a qualsiasi soluzione e avventura, dato che, se è indifendibile un Parlamento che si abbandona alla propria umiliazione, ancor più lo diventa un Parlamento del tutto incapace di assolvere alla funzione di governo.
Berlusconi e i suoi questo lo sanno, e presumibilmente non se ne dolgono, avendo già espresso da tempo la propria preferenza per il presidenzialismo e non avendo mai nascosto di considerare le Camere alla stregua del Senato romano dell’epoca dei Cesari, luogo di agiata inconsistenza in cui perpetuare i riti del tempo che fu, al punto da riempirle di un’intera scuderia di cavalli.
Grillo e i suoi cosa ne pensano? Credono veramente che il futuro appartenga ad un Presidente garante di una legislazione emanante esclusivamente dal popolo attraverso referendum, come talvolta traspare, in una forma inedita, ma di sostanza vecchia, di Repubblica plebiscitaria?
Oppure sono convinti, come spesso affermano, che si debba ripristinare nella prassi una più forte distinzione di ruoli e funzioni fra potere legislativo e esecutivo, necessità sulla quale troverebbero senza difficoltà identità di vedute con la sinistra?
E’ anche di questo che stiamo parlando, forse senza la dovuta attenzione, in questi giorni, forse soprattutto di questo, della nostra Costituzione e del futuro della nostra democrazia.
Io infatti, a due settimane dall’elezione a deputato, non ho ancora trovato nessun motivo per festeggiare.