giovedì 4 aprile 2013

Politica e finanziamento pubblico. Alcune riflessioni


Matteo Renzi pubblica parte dell’elenco dei finanziatori della sua campagna per le primarie e rilancia sull’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti.
Dico immediatamente che una seria normativa sulle donazioni private a movimenti politici o singoli candidati dovrebbe impedire di nascondersi dietro lo schermo della privacy.
Conoscere l’identità di ogni singolo sottoscrittore è infatti fondamentale per farsi un’idea del profilo reale di un personaggio pubblico e non possono esistere ignoti benefattori, dietro cui potrebbero nascondersi soggetti interessati e poco limpidi.
Questo è tuttavia un aspetto fondamentale ma non centrale.
Ciò di cui vorrei parlare è altro, ovvero l’idea che la politica possa finanziarsi esclusivamente attingendo ai versamenti volontari di simpatizzanti, iscritti ed elettori.
Due sono le obiezioni che sento fare in queste ore. 
La prima è che in questo modo si lederebbe la possibilità di partecipare attivamente alla vita pubblica per chi non disponga di adeguate risorse personali, o di chi non abbia relazioni tali da attivare adeguati canali di raccolta fondi. 
In Italia le due cose spesso coincidono.
La seconda è che attraverso il sistema dei finanziamenti soggetti economici di primo piano avrebbero la capacità di indirizzare a proprio favore le scelte della politica, favorendo la vittoria di chi più sia vicino alle proprie aspettative.
Quest’ultima argomentazione mi sembra molto debole. 
Chiunque conosca la politica americana sa infatti che il sistema corruttivo si fonda non tanto sui meccanismi di fund raising, quanto piuttosto sulla pratica delle “porte girevoli”, per cui è molto facile ottenere i favori di una classe politica a tempo e priva di garanzie per il proprio futuro garantendo un’adeguata sistemazione al termine del mandato. Non a caso le carriere politiche di congressisti e senatori dotati di grandi ricchezze proprie o legati ai movimenti sociali sono molto più lunghe di quelle di chi interpreti il mandato come un passaggio verso altre collocazioni, normalmente più legato alle lobbies.
Paradossalmente, e lo dico come provocazione, sono molto più destabilizzanti per l’etica politica proposte come il limite dei mandati, la riduzione delle indennità, l’abolizione di paracaduti odiosi come i vitalizi, di quanto lo sia l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti.
Più problematico il primo tema.
Se è infatti fuori discussione che sia teoricamente più facile per la destra ottenere finanziamenti alle proprie formazioni politiche, lo è altrettanto che la storia dei partiti di massa ci dimostra che la sinistra, intesa come organizzazione dei deboli e degli sfruttati, ha avuto la capacità di strutturare macchine imponenti contando esclusivamente sulla volontà di partecipare anche economicamente dei propri aderenti.
E’ la rescissione del legame sentimentale fra la sinistra e il suo popolo che ha generato la dipendenza dal finanziamento pubblico, e non una ragione ontologica.
Possiamo anzi dire che il finanziamento pubblico è stato un anestetico debilitante che ha permesso per molti anni di ignorare drammaticamente proprio la grande questione posta da quella rescissione.
E’ tuttavia necessario considerare che qualsiasi riforma non interviene su un campo neutro, ma produce effetti sulla situazione data, e questa ci parla di un’Italia in cui il deterioramento del rapporto fra partiti e cittadinanza è tale da rendere impensabile che l’abolizione del finanziamento pubblico aprirebbe magicamente le porte ad una massiccia e diffusa contribuzione privata alla politica, come quella che contribuì a portare Obama alla presidenza degli Stati Uniti.
L’effetto sarebbe quindi quello di determinare nell’immediato un vantaggio competitivo enorme per quelle forze politiche che possano disporre immediatamente di relazioni forti con le maggiori, e peggiori dal punto di vista dell’interesse pubblico, lobbies economiche del paese.
Si dirà a questo punto che il M5S è la dimostrazione di come sia possibile raggiungere il 25% senza alcun finanziamento pubblico.
Questa affermazione, apparentemente inattaccabile, non tiene tuttavia conto di alcuni fattori.
Il primo è che il movimento di Grillo ha potuto fare della lotta ai costi della politica, fra cui il finanziamento pubblico, una straordinaria arma di consenso, che tuttavia non è evidentemente ripetibile, nè generalizzabile.
Il secondo è che il M5S dispone in tutta evidenza di risorse economiche opache, non contabilizzate, che ruotano attorno ad un media importante di proprietà privata, qual’è il blog di Grillo, in questo non dissimile dalle tv di Berlusconi.
Il terzo è che un partito che rappresenta il 25% degli italiani ha raccolto in campagna elettorale 500.000 euro, ovvero una cifra ridicola, se si pensi che equivale ad un versamento di 50 euro da parte di 10.000 persone, un piccolissimo partito, a fronte di 9 milioni di voti, e questo dimostra quanto sia difficile accedere a reali canali di finanziamento privato anche per chi viva un momento di straordinario consenso.
Se quindi riteniamo che la quantità di risorse immesse in una campagna elettorale non sia ininfluente rispetto al suo esito, e difficilmente potremmo non farlo nel paese che ha conosciuto il conflitto di interesse di Silvio Berlusconi, dovremmo essere pronti a discutere di come assicurare condizioni non solo minime di par condicio anche sotto questo profilo, pena l’ulteriore squalifica dello stato della nostra democrazia.
In caso contrario, dovremmo tenerci pronti al fatto che dopo aver ridotto alla fame la bestia partitica, bestie ancor più feroci tornino a contendersi lo spazio pubblico.

lunedì 1 aprile 2013

Se sembra già finita, non è ancora cominciata


Dall'inizio della crisi istituzionale apertasi con l'insediamento delle nuove Camere a me è parsa chiara una cosa. 
Una parte del paese, probabilmente minoritaria, riteneva e ritiene prioritaria la formazione di un Governo nel pieno delle sue funzioni e con mandato forte. 
Parliamo del mondo degli interessi organizzati, di quelle soggettività più esposte all'urto della crisi economica, ben rappresentate dall'editoriale del Sole 24 Ore, che a caratteri cubitali titolava due giorni fa Basta Giochi.
Un’altra parte, più liquida e legata alle dinamiche valoriali e di schieramento della politica, o più semplicemente poco propensa a credere che una qualsiasi soluzione, purchè rapida, sia migliore del ritorno alle urne, non vuole qualsiasi convergenza PD-PDL e ad essa si ribellerebbe.
A sciogliere questa contraddizione fra interessi diversi e trasversali avrebbe potuto contribuire il M5S, se avesse dato fiducia al tentativo generoso di Bersani, ma ha scelto di non farlo, per un presunto interesse elettorale, ma, io credo, soprattutto per la sfiducia di Grillo nella preparazione della propria rappresentanza parlamentare.
Napolitano, tornato dominus per rinuncia del Parlamento ad esercitare il proprio potere fondamentale, ovvero la fiducia ad un governo, ha quindi seguito la propria storia, cultura e personale inclinazione, scegliendo di rispondere al primo gruppo, anche a costo di una evidente forzatura della Costituzione.
Ha di fatto investito di pieni poteri un esecutivo che non potrebbe goderne, guidato da un primo ministro uscito sconfitto dalle urne, e gli ha affiancato un direttorio, la cui unica fonte di legittimazione è il rapporto fiduciario con la Presidenza della Repubblica, cui ha affidato il compito di stimolare la nascita di una grande coalizione, o almeno l’adozione di una nuova legge elettorale in grado di garantire una maggioranza stabile dopo elezioni ravvicinate.
Sia detto qui per inciso che individuare un tale sistema di voto nel quadro dato necessita doti da indovini ed espone al rischio di imprevisti pericolosissimi.
Ora entriamo quindi nella terra incognita di una legislatura che si avvia in assenza di un governo che possa fornire indirizzi e coordinate chiare, senza peraltro poterne ricevere da un Parlamento molto lontano dal costruire al suo interno un sistema di relazioni intellegibile.
Quanto potrà durare questa fase? Io credo molto poco e al massimo fino all’elezione del nuovo Presidente della Repubblica.
Come utilizzarla? Io credo restando ben ancorati agli 8 punti di Bersani, a partire da quelli immediatamente traducibili in iniziativa legislativa, puntando a costruire nelle commissioni parlamentari e quindi in aula quella convergenza con il M5S che non si è trovata nella costituzione del governo.
Va infatti resa impraticabile la china spalancata della convergenza al centro, magari facilitata dall’uscita di scena in un modo o nell’altro del macigno Berlusconi, e contestualmente inseguita con testardaggine l’idea che il potenziale di cambiamento di questo Parlamento possa liberarsi dalle ipoteche dei tanti padrini extra-parlamentari.
Pare difficile e velleitario? L’alternativa è la resa incondizionata ad uno dei tanti disastri annunciati.

venerdì 8 marzo 2013

Stallo e democrazia


Partiamo da una semplice considerazione. 
L’attuale legge elettorale è pessima per moltissimi e noti buoni motivi. 
Nella fase attuale ha tuttavia dimostrato di avere un pregio, ovvero rendere impossibile ad una delle tre minoranze che abitano il paese di ottenere in Parlamento una maggioranza autosufficiente, pur garantendo alla più robusta fra queste il diritto di esprimere un indirizzo nella formazione del governo.
Se fossimo non un paese normale, ma un paese dotato di una classe politica cosciente di se e delle proprie responsabilità, questa non dovrebbe quindi far altro che prendere atto che il popolo italiano ha cancellato nelle urne il bipolarismo e imposto le condizioni per un programma di origine parlamentare, disegnando non una, ma ben due ipotesi di possibile coalizione.
Cosa ben diversa dall’esito delle prime elezioni greche, quando Syriza si ritrovò priva dei numeri sufficienti, così come le formazioni che insieme compongono l’attuale maggioranza di governo, e lo sbocco elettorale fu quindi obbligato.
Ciò di cui si parla è invece il ritorno alle urne, nella speranza che gli italiani tradiscano fra pochi mesi la volontà che hanno voluto esprimere in febbraio, cambiando in massa la propria preferenza di voto.
Perchè tutti sappiamo che se questo non accadesse il futuro Parlamento sarebbe sostanzialmente nelle stesse condizioni di questo, con l’unica credibile variante di un diverso orientamento della Camera dei Deputati.
Nè a tagliare il nodo gordiano basterebbe la modifica della legge elettorale, dato che non esiste legge elettorale dignitosa al mondo che garantisca la governabilità in un paese diviso in tre tronconi sostanzialmente omogenei per forza e diffusione territoriale.
Il problema quindi è e resta esclusivamente politico e riguarda la capacità delle forze rappresentate nelle due Camere di interpretare se stesse alla luce della nostra Costituzione, che prevede il voto di fiducia come tutela fondamentale della forma di governo parlamentare, a cui io, personalmente, non rinuncerei mai.
E’ quindi opportuno avere ben chiaro che proprio la centralità del Parlamento, che ha retto fra mille difficoltà al ventennio berlusconiano e alle forzature di una prassi insistentemente orientata alla prevalenza dell’esecutivo, rischia di essere la vera vittima dello stallo attuale, aprendo le strade a qualsiasi soluzione e avventura, dato che, se è indifendibile un Parlamento che si abbandona alla propria umiliazione, ancor più lo diventa un Parlamento del tutto incapace di assolvere alla funzione di governo.
Berlusconi e i suoi questo lo sanno, e presumibilmente non se ne dolgono, avendo già espresso da tempo la propria preferenza per il presidenzialismo e non avendo mai nascosto di considerare le Camere alla stregua del Senato romano dell’epoca dei Cesari, luogo di agiata inconsistenza in cui perpetuare i riti del tempo che fu, al punto da riempirle di un’intera scuderia di cavalli.
Grillo e i suoi cosa ne pensano? Credono veramente che il futuro appartenga ad un Presidente garante di una legislazione emanante esclusivamente dal popolo attraverso referendum, come talvolta traspare, in una forma inedita, ma di sostanza vecchia, di Repubblica plebiscitaria?
Oppure sono convinti, come spesso affermano, che si debba ripristinare nella prassi una più forte distinzione di ruoli e funzioni fra potere legislativo e esecutivo, necessità sulla quale troverebbero senza difficoltà identità di vedute con la sinistra?
E’ anche di questo che stiamo parlando, forse senza la dovuta attenzione, in questi giorni, forse soprattutto di questo, della nostra Costituzione e del futuro della nostra democrazia.
Io infatti, a due settimane dall’elezione a deputato, non ho ancora trovato nessun motivo per festeggiare.

venerdì 22 febbraio 2013

Ripartiamo con SEL


Domenica 24 e lunedi 25 febbraio si consuma nelle urne l’epilogo della Seconda Repubblica.
E’ durata venti, durissimi anni, scossi da scandali e corrosi dal malaffare, persi ad inseguire un uomo e le sue ossessioni, e ci ha lasciato in eredità un paese impoverito, gonfio di diseguaglianze, lontanissimo dalla civiltà dei diritti europea, dove un lavoro precarizzato e umiliato fa da contraltare ad un’imprenditoria in piena crisi.
Hanno vinto le rendite e le zone d’ombra, la finanza opaca, l’evasione fiscale nutrita da condoni e compiacenze, l’illegalità fatta sistema.
Ma noi non abbiamo perso, perchè abbiamo saputo resistere e coltivare la speranza nelle tante lotte che hanno attraversato il paese, nella memoria dei nostri vecchi partigiani, nei movimenti sociali e ambientalisti, nei referendum che ancora cercano rispetto, nella solidità della nostra Costituzione e delle nostre malconce istituzioni.
Oggi quindi siamo qui, a chiedere al paese un atto estremo di fiducia nelle proprie forze e quindi nel centrosinistra.
Ci assumiamo una grande responsabilità, perchè ciò che chiediamo è di superare la rassegnazione, lo scetticismo, la rabbia, il rancore, potendo promettere in cambio solo il nostro impegno e le nostre facce, in un’Italia appesa a un filo.
Eppure lo facciamo, perchè non possiamo arrenderci all’idea che dopo Berlusconi possa esserci Berlusconi, nè che il nostro destino sia l’eterna palude della politica nazionale.
Lo facciamo perchè chi oggi riempie le piazze recitando la parte antica dello sdegno contro il potere e facili soluzioni ad ogni male promette il cambiamento, ma è solo il ringhio del gattopardo poi pronto ad ogni mansuetudine. Chiedere a Parma se si avesse qualche dubbio.
Lo facciamo perchè crediamo nell’Italia e nell’Europa, non ci arrendiamo allo sfascio, nè alla retorica del fallimento che lascia tutti indenni da ogni responsabilità.
Chiediamo un voto determinante e intelligente, ma anche utile, perchè non c’è nulla di cui vergognarsi nell’ammettere che oggi i voti sono tutti uguali, ma domani saranno differenti i risultati che quei voti produrranno, e una sinistra forte al governo del paese è diversa da una debole nell’angolo dell’opposizione.
Vogliamo governare, perchè ci sono momenti nella storia in cui tutto cambia e non è indifferente chi abbia il timone nelle mani.
L’Europa è a un bivio, fra un egoismo rigorista che la porterà alla dissoluzione e la possibilità che si affermi nuovamente il sogno degli Stati Uniti d’Europa, fondati sui valori costituenti della solidarietà e del lavoro.
L’Italia può essere determinante per indirizzarla dall’una o dall’altra parte e chiamarci fuori da questa contesa sarebbe un errore fatale.
Ognuno di noi può scegliere da che parte stare, ma ha il dovere di farlo con lucidità e lo sguardo al futuro, perchè se ci si limita a girare gli occhi sullo spettacolo osceno del presente tutto può sembrare perduto.
Tutto è invece nelle nostre mani, nelle nostre parole, nelle decisioni apparentemente banali che prenderemo in questi giorni di fine febbraio.

domenica 3 febbraio 2013

#propostasciocc. Non gli crederà nessuno?


L’ultima volta pareggiò le elezioni promettendo l’abolizione dell’ICI, stavolta rilancia, e arriva alla restituzione dell’IMU già pagata.
L’ultima volta dissero tutti che era una follia, e in effetti tale si dimostrò, stavolta tutti ripetono lo stesso, e chissà che non siano più convincenti.
Rimane però nell’aria un dubbio che sembra figlio di un’allucinazione: perchè non dovrebbero credergli?
Troppo sputtanato dicono, non ha mai mantenuto una promessa, è un truffatore manifesto.
Tutto vero, e sei quasi tentato di pensare che gli italiani in fondo l’avranno capita, anche se poi guardi i sondaggi e non dicono proprio questo.
Allora ripensi a questo inizio di campagna elettorale.
Ieri un tale ha raccolto una piccola folla sotto la pioggia battente a Bologna, la rossa, la colta, la civile Bologna, e fra un tripudio di grida e applausi ha chiamato i terroristi a bombardare il Parlamento italiano. E’ il leader del terzo partito italiano e promette, tra l’altro, di dare 1000 euro ad ogni disoccupato trovando i soldi nelle tasche di 1000 parlamentari.
Un altro si candida a Presidente della più ricca, europea e popolosa regione italiana, pare con sufficienti probabilità di successo. Era ministro dell’interno mentre il tesoriere del suo partito riciclava denaro pubblico in Tanzania e il figlio del boss inventava diplomi all’estero. Tra le altre cose, promette da trent’anni la secessione del Nord, e giura che questa sarà la volta buona.
Su altre sponde troviamo un magistrato che è riuscito nell’impresa di mettere in cassaforte le conversazioni telefoniche del Presidente della Repubblica, lasciare la magistratura italiana per quella guatemalteca, tornare e candidarsi a leader di un assemblaggio provvisorio di comunisti di varia estrazione, ambientalisti quasi estinti, giustizialisti della prima e dell’ultima ora, frammenti di società civile. Tutto in tre mesi, e pare che per qualcuno questa sia l’ultima speranza della sinistra italiana.
Resta qualcuno?
A pensarci bene si. Uno è il Presidente del Consiglio in carica e guida una coalizione di ispirazione cattolica e liberale. Ha governato un anno, con l’obiettivo di stabilizzare i conti pubblici e uscire dalla tempesta finanziaria. Ha ottenuto qualche risultato, scaricandone tutti i costi sui ceti medio e medio-basso. Ora vorrebbe fare di più in quella direzione.
L’altra è la coalizione di centrosinistra. Ne fanno parte un partito grande e incerto e uno molto più piccolo, senza dubbio di sinistra. Dicono tutti che vincerà e lo dicono da tempo. Ha un leader scelto da milioni di persone con le primarie, candidati selezionati con lo stesso metodo, un programma chiaro e semplice, relazioni, esperienza e carica di cambiamento.
Vi aspettate che il vero scontro elettorale sia tra questi ultimi due? Sono d’accordo, se non fosse che ogni giorno apro il giornale e scopro che tra questi due dovrebbe esserci un imprecisato accordo.
Questo è il quadro. Quindi siamo sicuri che non gli crederà nessuno?

PS: quel partito di sinistra nella coalizione di centrosinistra si chiama SEL. Molti ne parlano e tutti lo attaccano, perchè è la scheggia sana che può bloccare nel punto corretto questa scena impazzita. Vale la pena pensarci.

venerdì 1 febbraio 2013

A Ravenna licenziano e riassumono. Salario -30%


Non ci voleva poi molto a capire che inseguire la Cina sul piano dei diritti e del costo del lavoro avrebbe portato la Cina in Italia.
Non in termini di tassi di crescita naturalmente, ma di progressiva perdita di investimenti e quindi di produttività e capacità di generare valore aggiunto.
Le destre italiane, tecniche e politiche, hanno infatti deciso di affrontare il tema della competizione globale non attraverso la pressione su ricerca e innovazione, formazione delle lavoratrici e dei lavoratori, internazionalizzazione del sistema produttivo nel suo complesso, come sarebbe stato proprio di un paese ad economia avanzata, ma al contrario puntando sulla riduzione dei costi, e quindi su produzioni progressivamente depauperate, sulla demolizione del welfare e del sistema pubblico di istruzione, sullo spostamento della riproduzione della ricchezza nella rendita e nella speculazione.
Sono partito da qui perchè altrimenti non è possibile comprendere come siano possibili ordinarie storie di dumping interno, causate da un complesso normativo fondato sull’idea che debba sempre essere possibile ricattare il mondo del lavoro per ridurne aspettative e capacità di difesa dei propri diritti e livelli retributivi.
Fa parte di questo complesso normativo la legge 30, che moltiplica all’infinito le tipologie contrattuali e individualizza di fatto il rapporto di lavoro, l’assenza di democrazia sindacale nei luoghi di lavoro, che unita all’art.8 rende sempre possibili erga omnes contratti peggiorativi, il limite storico al diritto di rappresentanza sindacale e la divisione fra aziende sopra e sotto i 15 dipendenti, la Bossi-Fini, che determina un esercito di lavoratori in nero sottoposti al peggiore dei ricatti, e ora la modifica dell’articolo 18, e via così avanzando in un elenco infinito, alimentato dalla crisi in corso.
Per questo noi proponiamo di limitare le forme contrattuali e il numero dei contratti nazionali di lavoro, di abrogare l’art.8 e la riforma dell’articolo 18, della legge 30 e della Bossi-Fini, di introdurre un reddito minimo garantito per tutte e tutti, di portare e riportare i diritti sindacali in tutte le realtà produttive, comprese quelle medio-piccole.
Perchè riteniamo che la contrazione dei salari comporti una riduzione della domanda interna, e quindi contribuisca ad avvitare la crisi su se stessa, che un mondo del lavoro senza voce e diritti sia un pericolo per lo stato della democrazia, ma anche un handicap di medio periodo per lo stesso sistema produttivo, che l’impresa resa libera di inseguire i peggiori spiriti animali del mercato guadagni vantaggi effimeri che si traducono presto in disastri complessivi.
Quando parliamo di cambiamento del paese intendiamo soprattutto questo, e quando parliamo di sinistra di governo intendiamo che il nostro tempo deve essere questo, perchè altri 5 anni di Berlusconi o Monti non possiamo permetterceli.
Poi sono pronto a continuare la discussione.
Resta inteso, in conclusione, che il mio giudizio su Sani 2000, che rincorre al ribasso il costo del lavoro, dopo aver avuto nel nostro territorio la possibilità di realizzare un intervento immobiliare di una certa dimensione, che l’ha poi portata al monopolio del cinema cittadino, è uguale all’altro che la riguarda per le politiche tariffarie. Inqualificabile.

giovedì 31 gennaio 2013

Lo spettacolo della sinistra-glossa


Il Manifesto oggi pubblica un editoriale di Norma Rangeri dal titolo Lo spettacolo della sinistra, in una prima pagina ancor piú eloquente, dove alle foto di Vendola e Ingroia si accompagna cubitale ASTENETEVI.
L'articolo colpisce, perchè è certamente in sintonia con i sentimenti di molti di noi, che da giorni assistono da protagonisti o spettatori alla rissa continua che coinvolge SEL e RC, trasformando in rumore di fondo le rispettive campagne elettorali.
Tuttavia non aiuta, perchè dopo aver individuato il nodo vero della divisione a sinistra, e senza aver tralasciato di cogliere di passaggio l'importanza cruciale del prossimo appuntamento elettorale, lo mette fra parentesi, per concentrarsi su ció che dovrebbe unire, ovvero obiettivi di massima e valori.
Non serve infatti a nulla evidenziare le affinità presunte o reali fra SEL e RC su antiliberismo, pace e modello di sviluppo, e glissare sul nodo del governo, come se le prime dovessero prevalere sul secondo, e evitando peraltro di considerare la realtà del sistema elettorale e istituzionale vigente, come se vivessimo ancora nella Prima Repubblica del proporzionale.
In questo modo si partecipa a invertire l'ordine del dibattito e non si contribuisce a quello che dovrebbe essere lo scopo, riportare il confronto a sinistra sul binario corretto.
E' infatti del tutto chiaro che sul piano programmatico esista un'affinità fra le proposte di SEL e RC, così come su quello dei valori e forse persino dei fini ultimi.
Ma tutto questo è ininfluente, davanti alle due questioni centrali e intrecciate che dovrebbero animare la campagna elettorale e determinare le scelte a sinistra.
La prima è la valutazione della fase, che puó essere interpretata come momento cruciale di passaggio per il futuro dell'Italia e dell'Europa, o come estrema propaggine di un ciclo lungo del neoliberismo.
Si tratta in altre parole di capire se il vecchio sia già morto e il nuovo in gestazione, o se il vecchio sopravviva e ancora abbia la forza di trascinare i vivi con se.
Da qui discende la seconda domanda, più politica e immediata.
E' questo il nostro momento, quello in cui la sinistra possa portare fino al governo la sfida del cambiamento? O quello a cui dobbiamo ambire è una battaglia parlamentare di opposizione ai Monti e ai Berlusconi di sempre, in un'Europa lasciata priva di una sponda a sinistra dall'Italia?
Perché è di questo che stiamo parlando, e il discorso va portato avanti fino in fondo senza infingimenti. Compreso quello di dar credito all'idea che una pattuglia di 20 parlamentari appartenenti oggi e domani a 4 partiti diversi per cultura e prospettive possano incidere molto di più di quanto in questi 15 mesi abbia potuto fare la sola IDV, in assenza di movimenti sociali di cui oggi non si vede traccia diffusa. Vale a dire nulla, perché non si possono nascondere le torsioni di un sistema democratico che riduce a mera rappresentanza il ruolo dell'opposizione, al punto che una restituzione al Parlamento della funzione assegnatagli dalla Costituzione è uno dei temi correttamente nell'agenda del centrosinistra.
Portiamolo qui, il confronto fra le tante forze del cambiamento in Italia, sul terreno molto materialista e laico dell'efficacia, e non sarà meno duro e acceso, ma certamente più utile e comprensibile.  

domenica 20 gennaio 2013

Il centrosinistra basti a se stesso ed al paese


Si apre la campagna elettorale per quella che potrebbe essere una fra le legislature più significative della storia repubblicana, inserita nel mezzo di una lacerante crisi economica e sociale, in un quadro di ridefinizione degli equilibri internazionali, al punto più basso di credibilità degli attori politici e delle istituzioni democratiche.
Non si apre bene, fra un PD che pare restituito alle sue storiche contraddizioni e balbettii, i prodromi di una rissa a sinistra feroce quanto sterile, la deriva autoritaria del M5S e la rinnovata carica della destra berlusconiana, troppo presto derubricata a ricordo, in un paese che in nome di un ipocrita anticomunismo ha saputo digerire cose ben peggiori dell’immoralità di Arcore.
In mezzo Monti, ancora convinto di dover salvare l’Italia da se stessa e di poterlo fare con i voti altrui, memore dell’antica massima per cui i voti non si contano, si pesano, e i suoi, modestamente, hanno un peso laico ed ecclesiale.
Non aiuta una legge elettorale costruita per esaltare ogni imperfezione del nostro bicameralismo perfetto, abbinando un abnorme premio di maggioranza alla Camera alla difficoltà estrema di garantirsi una maggioranza risicata al Senato, con un pugno di Regioni detentrici della sovranità di ultima istanza.
E quindi siamo qui, in un paese che ha sperimentato fino all’ultimo le ricette delle due destre italiane, a chiedere un voto per il centrosinistra giocando sulla difensiva, con un palpabile, crescente timore di non farcela, al punto di lasciar intendere che anche se ce la facessimo, nessuno si preoccupi, perchè faremo finta di niente.
Sia chiaro che se è una mezza vittoria che si vuole, questo è il modo migliore per ottenerla.
Il centrosinistra si è insediato con forza nell’elettorato italiano con le primarie, quando ha avuto la forza di mettere in evidenza la pluralità dei suoi contorni, e insieme la capacità di portarli ad una sintesi nitida.
Si sono visti allora protagonisti di storie diverse e portatori di sguardi diversi sul futuro mettersi insieme nella competizione per scrivere un progetto condiviso di paese.
Sono quello spirito e quei protagonisti che vanno recuperati rapidamente, oggi che di nuovo sembra prevalere il vecchio vizio della tattica e delle mezze parole.
Patrimoniale non è un insulto, ma la condizione di una maggiore equità fiscale; il mitico centro non è un’oasi a cui aspirare, ma un antagonista elettorale, e lo stesso vale per Ingroia e la sua compagnia, a cui si possono contendere i voti, non chiedere impossibili desistenze.
E non è possibile ignorare il Mali e l’intero Sahel per anni, e poi cavarsela con una fiducia incondizionata alla Francia, quasi che l’Africa subsahariana continuasse a essere il suo cortile di casa.
Io credo, e sono incrollabile in questo, che il centrosinistra rappresenti l’ultima speranza per l’Italia di imboccare una via di uscita dalla crisi diversa dalla demolizione dello stato sociale, dal ritorno ad un classismo teorizzato e praticato, dalla perdita di diritti e quindi, in definitiva, dall’aumento delle disuguaglianze come motore dello sviluppo.
Credo che sia possibile recuperare il filo di una ripresa che abbia al centro una crescente equità nel carico fiscale e nella distribuzione della ricchezza, che il welfare possa essere protagonista di una fuoriuscita positiva dalla recessione, che debba tornare a vedersi chiaramente una mano pubblica nell’economia, e che sia possibile fare questo nel quadro di un’Europa che ritrovi se stessa e investa in una maggiore integrazione democratica.
Sono altrettanto certo che rincorrere i fantasmi di una famiglia che non c’è più non la farà tornare in vita, quando invece sarebbe utile riallineare il cervello all’età in cui si vive e liberarne la ricchezza e la pluralità.
Credo anche che governare non sia una sfiga  a cui opporre scongiuri, ma la condizione per provare a realizzare quei progetti e valori a cui tutti a parole sosteniamo di richiamarci, e che ogni singola elettrice ed elettore della sinistra debba chiedersi se le è rimasto quel briciolo di speranza che ti fa dire proviamoci ancora.
Nelle prossime settimane di campagna elettorale vorrei parlare di queste cose, senza essere possibilmente boicottato da chi si adagi in uno schema che prevede per il PD l’inseguimento di Monti, e per SEL la baruffa a sinistra.
No grazie, vorremmo bastare a noi stessi ed al paese.