mercoledì 26 dicembre 2012

"Il giovane candidato alle primarie Giovanni Paglia"


A 35 anni non si ha più l’età per essere un giovane candidato alla Camera dei deputati.
Non si ha più, per la verità, neppure l’età per essere un giovane ricercatore, un giovane precario, un giovane professionista o altro.
A 35 anni le carriere degli sportivi, che non possono mentire all’età, sono già al tramonto, Cristo era già morto e risorto, e Dante aveva oltrepassato abbondantemente la metà del  cammino della vita.
Eppure, quando ci si candida al Parlamento, o alle primarie in questo caso, non puoi non notare davanti alla lista dei candidati che ancora una volta è quel 1977 che un po’ emerge, e allora capisci che questo voto potrà servire anche a rappresentare la sinistra di una generazione e a portarla nelle aule parlamentari.
Perchè sinistra, come ogni parola viva, è un nome che si reinventa ogni giorno, e trova il suo significato nelle lotte, nelle speranze, nel desiderio di cambiamento, che muta sempre con gli anni e le stagioni.
Noi siamo quelli che a Genova hanno visto la loro ragione confondersi nella nebbia dei lacrimogeni e delle cariche di polizia, che hanno avuto paura per un giorno, ma nemmeno per un minuto si sono arresi al richiamo della violenza.
Siamo quelli per cui il futuro tarda sempre ad arrivare, che hanno dato nuova linfa alla resistenza di chi c’era, ma che aspettano ancora il momento della loro lotta.
Siamo quelli che hanno visto partire i loro amici e fratelli, perchè sono nati nella terra dell’inopportunità, dove l’ascensore sociale è al piano terra fisso, dove lo studio è un passaporto per il precariato o l’emigrazione, e la famiglia l’unica forma di welfare.
Siamo quelli che hanno capito bene cos’è la crisi, perchè ha trasformato spesso l’incertezza di un lavoro nella certezza della disoccupazione, o forse non l’abbiamo capito affatto, se stiamo fermi a consumare rabbia e rassegnazione.
Eppure siamo la pietra angolare del futuro, perchè ogni accento dell’economia e della politica resta muto, ogni proposta chiacchiera vuota, se non trova sostanza e sostegno nelle giovani generazioni.
Allora io non mi candido perchè ho 35 anni, nè tanto meno chiedo voti per questa ragione.
Mi candido perchè voglio il reddito minimo garantito come risposta immediata alla crisi, che trasforma il lavoro in un miraggio, e voglio la riforma fiscale, per finanziarlo e trasferire risorse dalla rendita al lavoro.
Voglio che si investa sulla scuola, che rappresenta da vent’anni il paradigma del nostro paese, povera trincea di resistenza martellata dai bombardamenti ministeriali.
Voglio pari diritti e dignità fra tutte le lavoratrici e i lavoratori, e voglio finalmente un ministro del lavoro che la smetta con le favole dei garantiti contro i non garantiti, dei giovani contro i vecchi, dei licenziamenti come anticamera della crescita occupazionale.
E soprattutto sono stanco di sentirmi dare del conservatore dopo aver perso tanto, da chi in questo paese ha sempre e solo voluto garantirsi e garantire ogni grammo di privilegio, da chi sempre preso senza mai rendere nemmeno grazie.
Vogliamo cambiare da quando siamo nati. Ora è il momento di provarci insieme.

domenica 9 dicembre 2012

Con Berlusconi in campo, il centrosinistra guardi all'Europa


E così a Bersani toccherà l’ingrato compito di guidare il centrosinistra in uno dei momenti più difficili della storia repubblicana avendo come contraltari Grillo e Berlusconi.
Bene penseranno quelli a cui piace vincere facile, illusi che possa essere buona anche la vittoria per mancanza di credibili alternative.
Male, malissimo dico io, che per una volta avrei l’ambizione di convincere molto più che di vincere, e di poter misurare la mia capacità di portare il paese ad una svolta minimamente matura e consapevole, perchè dio solo sa quanto bisogno avremmo di cambiamento, maturità e consapevolezza.
Invece Monti e i suoi, veri antagonisti di un qualsiasi centrosinistra europeo, pare siederanno ingombranti in panchina, mentre a giocare la partita saranno il vecchio e il nuovo capocomico, imbolsito l’uno e arrembante l’altro, ma squalificati entrambi.
Può affermarsi un’idea diversa del paese, un progetto di trasformazione reale, nella totale assenza di una dialettica con un’ipotesi alternativa altrettanto forte?
O la presenza di un solo schieramento credibile rischia di indurlo a trasformarsi in uno specchio deformato della nazione, a fargli ritenere di dover essere esso stesso una misura di unità nazionale?
Mi pongo queste domande perchè ritengo da sempre che il problema non sia l’apertura al dialogo con forze, ipotesi e culture diverse, tanto meno in un momento in cui il recupero di credibilità del sistema politico rappresenta forse la prima emergenza nazionale, ma piuttosto la chiarezza cartesiana della propria prospettiva politica e la determinazione nel realizzarla.
Mi spaventa quindi una prospettiva in cui il centrosinistra abbia davanti un centro evanescente e pronto alla resa, una destra avvolta nel revanscismo berlusconiano, l’onda anomala del M5S, mentre torna ad infuriare la tempesta finanziaria.
Mi spaventa perchè come tutti conosco il malinteso senso di responsabilità del PD, la sua vocazione ecumenica, la tendenza ad occupare ogni spazio non occupato.
Per questo credo sia importante fin da subito portare la campagna elettorale in Europa e il confronto sull’alternativa al livello della Merkel e del conservatorismo continentale, molto più che perdersi nei fantasmi passati, presenti e futuri della nostra privatissima casa degli spettri.
Per questo credo sia importante che SEL chieda formalmente l’adesione al PSE, come contributo a chiarire per l’oggi e per il domani campo, riferimenti, valori e relazioni del futuro governo del paese.
Il PD è oggi premiato dai sondaggi, e lo merita, per l’apertura alle primarie e per la sua capacità di essere l’unico punto solido in uno scenario politico fluido e instabile.
E’ una buona notizia per il centrosinistra, ma rischia anche di essere il suo limite, se quei voti in arrivo saranno figli della rassegnazione e coltivati nell’indeterminatezza.
A SEL, che ha certamente meno voti, il compito di dare un’anima ad una coalizione cui il PD rischia di dare solo volume.

venerdì 7 dicembre 2012

A Ravenna esiste ancora il PRI, sta in maggioranza e acquista legisti. Confesso che ho un problema.


Sarebbe un grave errore lasciar passare l’idea, anche in una città di provincia come Ravenna, che sia cosa normale, se non buona e giusta, che un eletto in un partito di opposizione ad un certo punto si alzi e si trasferisca nei banchi di un altro partito, per di più di maggioranza.
Significherebbe infatti non capire che atteggiamenti e giochetti che hanno contribuito ad affossare la credibilità della politica italiana non sono meno gravi se praticati in palazzi di minor rango del Parlamento, ma se possibile lo sono di più, perchè contribuiscono ad alimentare l’idea che il sistema intero sia irrimediabilmente compromesso.
Il sig.Ravaioli è subentrato a Learco Tavoni 9 mesi fa. 
Aveva avuto tutto il tempo di giudicare l’operato della Giunta ravennate e le evoluzioni politiche della Lega Nord. Avrebbe serenamente potuto rinunciare al subentro, e permettere agli elettori del suo ex partito di continuare ad avere la rappresentanza conquistata con il voto.
Non lo ha fatto e ha preferito comportarsi da proprietario di un consenso non suo.
Trovo tuttavia ancor più grave l’atteggiamento del PRI, che sembra non aver compreso quanto sia finita la stagione delle transumanze, quanto sia sensibile l’elettorato al tema della responsabilità degli eletti, dedicandosi ancora allo sport dei piccoli cambi di casacca, sperando forse di ricavarne altrettanto piccoli vantaggi di potere.
E non capisco il resto della maggioranza, che tace o sonnecchia, liquidando evidentemente la cosa come questione privata fra i soggetti coinvolti, senza capire che il rispetto sostanziale della volontà dell’elettorato riguarda tutti noi e non è un elemento secondario della democrazia.
Per quanto mi riguarda, vale l’invito alle dimissioni, pur tardive, del consigliere Ravaioli, che può dimostrare di aver compreso l’errore per rimediarlo.
Su chi ha voluto avallarne una scelta che non trova riscontro nel campo dell’etica politica, il giudizio è ben peggiore, e non fa che confermare la distanza già più volte sperimentata con un alleato che non può dirsi nostro.

domenica 2 dicembre 2012

Per un giorno, tutti con Bersani


Il secondo tempo delle primarie ci ha mostrato cosa queste sarebbero state fin dall’inizio senza la presenza di Nichi Vendola.
Una guerra feroce per bande all’interno del PD, con un’attenzione ai contenuti vicina allo zero e una spasmodica, a tratti violenta, attenzione alle “regole”, che poi altro non sarebbero che i paletti che tentano approssimativamente di circoscrivere il campo del centrosinistra.
Renzi l’avrebbe voluto da subito molto ampio, confidando nella sua capacità di attrarre elettorato dal disastrato centrodestra italiano, Bersani limitato al pur non trascurabile ambito del centrosinistra, per ragioni logiche, oltre che politiche, che tutti possono ben comprendere e condividere.
Si tratta di permettere alle primarie di essere ciò per cui sono nate, uno straordinario strumento di delega al nostro popolo della scelta di interpreti e indirizzi della politica, e non  una zattera gettata a chi dall’altra parte pensa di poter solo scegliere da chi essere sconfitto.
Alla fine quindi domani non si tratterà di scegliere fra due programmi, nè di sostenere il meno peggio, nè di partecipare per dare un segno di attenzione ad uno spettacolo che francamente non ha avuto da sette giorni nulla di edificante.
Si tratterà invece di votare per chiudere definitivamente la stagione della sinistra in maschera, occultata dietro idee, volti e linguaggi presi in prestito, per rivendicare il nostro diritto di chiedere al paese un voto per uscire dalla crisi.
Bersani può essere la persona giusta per farlo, perchè, nonostante le mille ambiguità e tentennamenti, e nonostante Monti, gli vanno riconosciuti coraggio e tenacia nel costruire una via d’uscita a sinistra dal berlusconismo e dal governo tecnico.
Lo dimostrano il baricentro dell’alleanza, di cui SEL non può essere considerata un elemento estetico, bensì la più evidente e materiale dichiarazione d’intenti, e la resistenza alle sirene del Monti dopo Monti, risuonate con forza in questi mesi dentro e fuori il PD.
Bersani ha dimostrato in queste settimane di aver colto il carattere strutturale della crisi economica, e di aver individuato il nesso profondo fra questa e l’aumento delle diseguaglianze, che ne rappresentano insieme la causa e l’effetto.
Ha parlato di lavoro e reddito come punti di partenza di ogni ipotesi di ripresa e non come variabili del ciclo economico.
Bersani non era per me il miglior candidato possibile alla presidenza del consiglio, perchè preferisce la sfumatura al tratto nitido che la gravità dei problemi in campo richiederebbe.
Ha tuttavia compreso quale sia il tempo in cui viviamo, mentre Renzi corre rapido con la testa voltata all’indietro.
Per questo oggi non avrò alcuna difficoltà a dare il mio voto a Pierluigi Bersani, ma lo farò con piacere, per costruire da domani affianco a lui un paese migliore.